La rivoluzione dello sport russo compie il suo primo grande passo. Il Parlamento ha infatti approvato una legge che stabilisce il reato di istigazione al doping e che punirà chiunque (allenatori, preparatori e altri esperti) provi a forzare gli atleti ad assumere sostanze dopanti per migliorare le prestazioni sportive. Una mossa strategica e al tempo stesso efficace, che tutto d’un colpo mette il governo russo dall’altra parte del fronte: solo a luglio, il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) ha pesantemente accusato Mosca di “doping di Stato”, con l’ormai famoso rapporto “Pound-McLaren”, redatto dalla Wada (World Anti-Doping Agency). Scoperchiato il vaso di Pandora è emerso un sistema ben strutturato, dove l’influenza della politica russa nello sport è parsa talmente evidente a tal punto da ipotizzare anche il coinvolgimento dei servizi segreti. La stessa politica che ora tenta il riscatto, con una mossa che potrebbe essere interpretata in una doppia prospettiva: è un modo per discolparsi o l’ennesimo grido di innocenza di un movimento che si sente l’unico penalizzato da tante brutte storie di doping?
A pagare il prezzo maggiore sono stati gli atleti disabili che avrebbero dovuto partecipare alle paralimpiadi. Perché se il CIO, con i normodotati, ha lasciato la possibilità di scegliere alle singole federazioni (ed è stata esclusa solo l’atletica), il Comitato Paralimpico ha fatto fuori in blocco tutta la spedizione russa, con un danno d’immagine incalcolabile. Il premier russo Medvedev, appena un mese fa, commentava così: «Escluderci dalle Paralimpiadi è stata una decisione doppiamente cinica, perché stiamo parlando di persone che ogni giorno provano a superare se stesse. È un colpo per tutte le persone disabili. C’è chiaramente il desiderio da parte del Comitato paralimpico internazionale di eliminare i più forti. Un brutto cocktail, in cui l’80% è composto da questioni politiche e solo il 20% dal doping vero e proprio». La Russia è stata accusata di aver insabbiato 35 casi di doping di atleti paralimpici negli ultimi 4 anni, ma ecco che arriva, puntuale, una legge che proverà a smontare tutto il castello delle accuse. Il governo di Mosca fa sapere di aver promosso questa nuova norma per dare l’ennesimo segnale di trasparenza. E a questo punto diventa meno difficile credere anche alla versione di Mosca.
Le sanzioni previste dalla Duma (il parlamento russo) per questa legge di “istigazione al doping” saranno pecuniarie, con multe che vanno da 300 mila rubli (poco più di 4 mila euro), ma non solo: previste anche squalifiche di tre anni o libertà vigilata per 12 mesi. Se poi il reato viene commesso da un gruppo di individui nei confronti di minorenni, le pene aumentano: si va dai 500 mila rubli di multa a un anno di carcere, passando per squalifiche fino a 4 anni. La legge prevede anche un’ammenda fino a un milione di rubli (15 mila euro), due anni di libertà vigilata o anche un anno di carcere se vengono somministrate all’atleta sostanze dopanti a sua insaputa. Sulla carta tutto molto trasparente, a differenza di quanto invece hanno fatto gli Stati Uniti, che da un’altra brutta storia (e poco chiara) sono usciti puliti: il mondo dello sport pare essersi dimenticato che appena un mese fa un gruppo di hacker russi dal nome “Fancy Bear” è riuscito ad accedere ai database della Wada, sottraendo illecitamente dei fascicoli. In sei diverse uscite, nome dopo nome, sono stati messi sul banco le schede private di tanti campioni dello sport accusati di aver giustificato l’assunzione di sostanze dopanti con certificati medici che rispondevano alla voce “scopo terapeutico”. Un caso su cui gli Usa hanno fatto calare un sospettabile silenzio e su cui molti attendono ancora la verità.
Giorgio Marota
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