Sessantuno milioni di italiani (rivelazione ultimo censimento) sarebbero pronti a confermare sotto giuramento che il momento epocale del rimpiazzo lira-euro ha veicolato un cambio a mille lire e non a 1936,27 come da rilevazione ufficiale. E’ stato quello il momento in cui una generale vacatio delle istituzioni, del governo, dei partiti, degli organi di controllo, ha legittimato un quasi totale raddoppio dei prezzi al commercio. In quel preciso istante nell’Europa impreparata, declinata solo come economia, l’Italia ha iniziato a viaggiare in seconda classe mentre in prima, per i propri comodi, si attrezzava la Germania. Si può scrivere che, 13 anni dopo, non ci siamo più ripresi da quella mazzata che produce i suoi effetti a distanza anche oggi che l’inflazione è praticamente inesistente. Anzi, al contrario, si rimpiange la sua assenza come se, per incanto, gli stipendi e il potere d’acquisto si fossero dilatati e avessero agito da contrasto e antidoto alla povertà. Lo stesso Draghi che vede come un nemico la deflazione propugna un’inflazione al 2% per muovere i mercati. Quel precedente storico ha invece mosso un’inflazione senza precedenti e se qualcuno adombra la possibilità di uscire dall’euro, se non proprio dall’Europa qualche briciola di ragione ce l’avrà. La finzione teorica del cambio euro-dollaro ha smesso di essere legittimata nel momento in cui si va verso la quasi totale parità delle due monete e con un vantaggio per quella del nostro continente. Strana materia l’economia soprattutto se maneggiata dai politici. A quel disastro ormai datato hanno partecipato tutti, senza eccezione di schieramenti. E tra i maggiori pentiti l’ex premier Romano Prodi e l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Daniele Poto
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