ROMA- La sentenza su Antonio Conte fa triste giurisprudenza. D’ora in poi dal punto di vista penale la passeranno liscia tutti gli allenatori che sono stati conniventi con la manipolazione di una partita di calcio per esplicita ammissione dei propri giocatori. Sarà innocente chi, pur non prendendo parte al gioco, sapeva e non denunciava. Come Conte che a suo tempo, per propria esplicita dichiarazione, si ritagliava due possibili parti nel match fixing del Bari e del Siena. “O cretino o in malafede”. Dato che i giudici hanno bocciato la seconda eventualità, rimane la prima: fate un po’ voi. L’etica evidentemente è manipolabile come un avvolgibile se un allenatore condannato a quattro mesi di stop per omessa denuncia, di fronte al tribunale ordinario la sfanga a differenza degli altri personaggi vip sotto accusa come Mauri, Signori, Doni. Un nuovo contributo all’omertà è venuta da questa indicazione giurisprudenziale. Un manuale di vita per un mondo che come rarissime eccezioni (autentici fiori nel deserto) ha avuto a questa regola i soli Carlo Petrini, Ferruccio Mazzola, Simone Farina. Le dichiarazioni di Carobbio, Santoruvo, Ganci, che hanno inguaiato un bel numero di addetti ai lavori, evidentemente non sono affidabili nei riguardi di Conte. Così ha deciso il giudizio anticipato con la richiesta di patteggiamento del tecnico che si è sfilato anzitempo sia dal processo che dalla guida delle nazionale italiana abbracciando la cospicua offerta del Chelsea (10 milioni di euro). La sua arroganza (“I giudici mi devono delle spiegazioni”) è stata omologa al verdetto finale. Non si esclude ovviamente che il marchio Juve, che il fior di conio degli avvocati e che la ragion di Stato (la Federazione non si era neanche costituita parte civile contro di lui) abbiano giocato un ruolo importante. Del resto siamo in Italia e l’avviso “La giustizia è eguale per tutti” è ampiamente rivedibile.
DANIELE POTO
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