bergamo-scontri-dopo-atalanta-roma-493699-660x368Esattamente 5 mesi fa un tentato golpe sconvolgeva la Turchia e il mondo. Il bilancio, oggi, racconta di quaranta mila persone arrestate, 120 mila funzionari pubblici licenziati (tra loro 30mila insegnanti e 4000 magistrati) e quasi 700 tra giornali e associazioni chiuse d’autorità. Recep Tayyip Erdogan si è screditato agli occhi del mondo con le sue “purghe”, ma ha rafforzato l’autorità all’interno del Paese e proprio in questi giorni il Parlamento sta discutendo la riforma presidenzialista della Costituzione che lui ha fortemente voluto. Questi i principali cambiamenti, che diverranno legge se il popolo dirà “sì” in un referendum presumibilmente già in primavera:due vice al posto di un primo ministro (carica che verrebbe cancellata dalla Carta), possibilità, da parte del presidente, di emanare decreti su diritti personali e libertà fondamentali senza bisogno di consultare il Parlamento, opportunità di nominare direttamente i vertici militari e dell’intelligence, i rettori dell’università, i burocrati di alto livello e le autorità giudiziarie. Inoltre, il vincolo di due mandati ripartirebbe dopo l’approvazione della nuova legge, quindi Erdogan potrebbe rimanere in sella fino al 2029.

Parallelamente sta continuando la dura repressione del governo contro gli avversari politici, o presunti tali, con vere epurazioni di massa. Solo per rimanere in ambito giornalistico, il numero dei cronisti arrestati dalla notte del 15 luglio è salito a 120. Dal punto di vista economico la situazione non è affatto migliore. La moneta locale, da inizio anno, si è svalutata del 17% rispetto al dollaro. Dopo il colpo di Stato di cinque mesi fa, il Paese ha subito un deflusso di capitali stranieri di cui invece avrebbe bisogno per finanziare il suo deficit di bilancio e nel frattempo anche le entrate provenienti dal turismo sono crollate: come ha dichiarato la Banca centrale pochi giorni fa, nel terzo trimestre dell’anno (giugno-settembre) i turisti sono diminuiti del 32,7% rispetto allo stesso periodo del 2015.

La Turchia pare ora quanto mai distante dall’Europa, con la seria possibilità di cancellare un lavoro di diplomazia che invece va avanti da decenni. Alla richiesta del Parlamento di Bruxelles di far chiarezza sulla situazione politico-sociale dopo il golpe, Erdogan ha risposto: «Ci hanno messi alla porta per 53 anni e comincio a credere che abbiamo vissuto bene senza l’Europa». Ma c’è un altro aspetto da non sottovalutare ed è forse il più contraddittorio: il giudizio politico sull’Erdogan-presidente. Molti turchi credono sempre di più nel suo operato, perché con l’Europa lontana, l’Isis vicino e le tensioni costanti con i curdi, il Paese non si sente al sicuro. E un personaggio dal carisma così forte garantisce, almeno apparentemente, una buona dose di stabilità. A questo punto resta solo la storia a suonare l’ultimo campanello d’allarme e a ricordarci che, in fondo, i ragionamenti che hanno preceduto i totalitarismi si somigliano un po’ tutti.

Giorgio Marota