La rincorsa alla carica di sindaco di Roma sembra un gigantesco ciapanò. Avete presente il gioco a perdere.Destra, centro e sinistra profondamente divise in una polverizzazione di candidati, di polemiche, di assolute divisioni che sembrano rispecchiare il carattere italico: l’eterno conflitto ben sunteggiato dal sovrabbondante numero di avvocati sparsi nella penisola, addirittura 450.000 mila. Nessuno infatti ne ha tanti in Europa. E’ spaccato il centro destra con il derby Bertolaso-Meloni. Il primo, afflitto ancora da qualche scoria giudiziaria, la seconda con la prospettiva di una gravidanza che certo non è il più significativo segno di disponibilità per una carica così impegnativa. E Marchini ai box come carta di riserva. Nel centro-sinistra Giachetti, volente o nolente, ha dovuto schierarsi per ordine di Renzi e, a questo punto, rischia persino di vincere se la sinistra non riuscirà a concentrare i voti sul correntone Marino-Fassina dopo che Bray, una chance importante, ha deciso di non presentarsi, in verità più per non mettere a repentaglio l’indubbio prestigio personale più che per evitare di spaccare il proprio versante politico. La Raggi conta sull’effetto 5 Stelle più che su un adeguato carisma anche se i bookmakers le riconoscono grandi possibilità anche in confronto alla quotazione dell’Appendino a Torino e della ritiranda Bedori a Milano. I partiti comunque per le varie primarie hanno messo in campo complessivamente non più di 70.000 reali elettori in una città che conta quasi tre milioni di abitanti. La democrazia rappresentativa ormai è una pallida meteora. La percentuale dei votanti scenderà e non esprimerà il migliore dei sindaci, quella personalità di assoluto prestigio di cui la capitale avrebbe bisogno.
Daniele Poto
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