arton34026ROMA-I rumors delle indiscrezioni montano e da Andreotti in poi (“A pensare male si fa peccato ma poi ci si azzecca”) la politica italiana ci ha abituato che il venticello che monta diventa tempesta. Dunque si è insediata al centro del dibattito la possibilità che il referendum da cui sembra che dipendano i destini dell’Italia possa subire un rinvio, un inopinato slittamento alla primavera 2017. Ma non era urgente sciogliere i nodi che bloccherebbero la legislatura? Pare non così urgente di fronte al terremoto. Ma, badate bene, non i lavori straordinari causati dal sisma, ma la necessità dell’establishment di riguadagnare una linea di credito non solo con le promesse ma con i fatti della ricostruzione. E conterà mica il fatto che i sondaggi accreditano alla forchetta del “no” un vantaggio compreso tra il 2 e il 4%? A qualcuno piace vincere difficile o meglio giocare la partita in casa, nel momento preferito o di più scarsa forma dell’avversario, magari portandosi l’arbitro da casa. Questa sembra la cinica metafora dell’attuale temperie. Già il 4 dicembre sembrava una data estrema visto che il dibattito è invalso da almeno quattro mesi e un pezzo di nazione sembra bloccato in una messianica attesa dell’evento. Come si farà a dire: “Abbiamo scherzato, ripassate tra quattro mesi”. Con circonvoluzioni degne di un Mazzarino o di un Richelieu non ci sentiamo di escludere che il rinvio possa scattare. Magari condito da qualche ipocrita affermazione (“Ce lo chiede il Paese”). Nessuno ha chiesto a un governo di “illegittimati” di cambiare le regole del gioco. E se veramente nel merito si volesse aspettare la fine dello sciame sismico si potrebbe tranquillamente scivolare fino all’estate del 2017. Come si legge in politica non c’è mai nulla di veramente urgente se non la sopravvivenza dei governanti.

DANIELE POTO