E’ proprio il caso di dire: chi di populismo ferisce, di populismo ferisce. Ha più appeal pubblicitario promettere di smantellare i costi della politica con il referendum millantando un risparmio di 500 milioni (in realtà 57) oppure condurre una guerriglia in aula per un risparmio almeno triplo sapendo che l’interlocutore (il Pd) non ti permetterà mai di tramutare in legge le intenzioni? Populismo di governo e di opposizione. Tutto per un voto in più. Nelle rispettive paralisi. Se, in ordine cronologico, l’impulso del Movimento Cinque Stelle decadrà, e se il “No”, come da sondaggi attuali, dovesse prevalere il prossimo 4 dicembre. L’Italia di fatto è impantanata e bloccata su questi forti poteri di veto. Dunque l’apparenza del voler fare predomina sui fatti. In una politica che è marketing, ologramma, con uno spiccato potere iconico. Singolare comunque che la parola populismo rimbalzi da Renzi sul principale movimento italiano quando il Primo Ministro è il primo del Paese ad adottare questa modalità, adottandola a mera forma di Governo. Presentando il Patto di Stabilità con le slide, distribuendo mancette elettorali, facendo della forma e non della sostanza il proprio marchio di fabbrica. In mezzo il Paese, afflitto dal problema della povertà e dalle contraddizioni con i migranti. Si risparmierà sul Cnel (20 milioni) mentre l’evasione fiscale (100 miliardi di buco contributivo) continua a non avere un valido antidoto. Si discute sulle briciole mentre l’intangibile opera della corruzione e delle mafie corrode come un cancro inestirpato l’Italia.

Daniele Poto